La vera storia delle signorine Somma Ruga
- un gentile omaggio di Lorenza Pozzi -
Non molto tempo fa, in un vicolo buio di una città nascosta dalla nebbia, c’era una strana libreria. Quando pensate a una libreria, vi viene in mente un negozio con delle vetrine e tanti libri colorati, alcuni per bambini, altri per grandi, disposti bene per attirare l’attenzione dei passanti… Vi immaginate un libraio che ogni settimana cambia questi libri in vetrina, perché ne sono arrivati di nuovi e pensate che, entrando, troverete il libro più adatto a voi o ai vostri amici, grazie ai suoi consigli.
La nostra strana libreria non aveva niente di tutto questo. Innanzitutto non aveva un nome: non si chiamava “Libreria del Sole” o “Libreria del Viaggiatore” o “Libreria L’Equilibrista”. Si chiamava solo LIBRERIA. E non aveva una vetrina. Aveva un portone di legno. Non ci potevate guardare dentro. Perché non era una libreria qualunque: potevano entrarci solo le persone armate di somma saggezza.
Come mai? Un po’ di pazienza e lo scoprirete.
Sulla libreria, come potete immaginare, erano nate diverse leggende.
Si diceva che esistesse da sempre, per esempio. Che secoli prima fosse circondata dalle acque di una palude e protetta da un drago di nome Tarantasio e che comprare libri fosse l’impresa più avventurosa che potesse capitare. Che bisognasse noleggiare un’imbarcazione, sfidare e vincere il drago e dormire fuori dal portone della libreria tre giorni e tre notti, in balìa dei vapori malsani che emanava la palude.
Si raccontavano anche storie macabre, misteriose, forse perché c’era sempre uno strano viavai di gatti neri… Quella del prete che era entrato e non era più uscito, e i suoi indumenti erano stati ritrovati giorni dopo, davanti al portone, che profumavano di carbone e cacao. O quella dei banditi che erano entrati per rubare ma al loro posto erano usciti dei bambini.
L’unica cosa che si sapeva con certezza era che dietro al bancone c’erano due vecchiette, Ernestina e Ippolita, che poi erano le libraie. Tutti le conoscevano come le signorine somma ruga perché erano vecchissime, ma siccome non si erano mai sposate le chiamavano ancora signorine. Dopo tanti anni, nessuno sapeva più chi era l’una e chi l’altra.
Le signorine somma ruga erano conosciute per la loro bizzarra mania di fare un test a tutti quelli che entravano: così, se entravi solo per dare un’occhiata o - cosa normalissima in una qualsiasi libreria - per informarti sulle ultime novità o far passare un po’ il tempo e riscaldarti in una fredda giornata d’inverno, non potevi sottrarti a una severissima raffica di domande.
L’esame consisteva in quesiti sulle vite degli scrittori: se rispondevi eri ammesso alla libreria, sennò dovevi andartene.
Ecco alcune delle domande che le anziane signorine facevano ai loro clienti:
Mi sa dire qual è il gelato preferito da Oscar Wilde?
Quando esce di casa Georges Simenon mette il cappello?
Lev Tolstoj ha mai mangiato un’anguilla?
E cosa mi dice delle sorelle Brontë… sono rimaste tutte zitelle?
Le signorine erano, infatti, convinte che la maggior parte delle persone pensasse agli autori dei libri come a esseri di un altro pianeta: come se esistesse un mondo di carta e un mondo reale. Per loro, invece, il mondo degli scrittori era molto concreto, fatto di carne e ossa, di abitudini, di sonnellini, di pranzi e cene, di manie, di sogni e desideri. Insomma, di vita.
La signorina somma ruga più anziana, quella più curva, tirava fuori un quadernone consunto dagli anni e ogni volta si inventava domande diverse e, ridacchiando, le trascriveva per ricordarsele. Aveva degli occhiali grossi e spessi, perché non ci vedeva bene; ma, nonostante questo, scriveva col pennino attaccata al quaderno, e mentre scriveva schioccava le labbra, sciac sciac, come se le mancasse la saliva. Poi passava il quaderno alla socia più giovane che, con voce tremula, in piedi su uno sgabello un po’ traballante, leggeva al malcapitato le fantasiose e difficilissime domande.
Nessuno ovviamente sapeva rispondere e tutti tiravano a indovinare. Così, nessuno era mai riuscito a comprare qualcosa perché le signorine somma ruga non ti vendevano niente se solo avevano il sospetto che tu fossi “una specie di somaro analfabeta”.
Questo, quando entrava qualcuno. Ma la maggior parte dei giorni la libreria era deserta, e Ippolita ed Ernestina si dedicavano al punto a giorno e al lavoro a maglia, sedute in comode poltrone sotto pesanti scialli di lana. A loro andava bene così. Come tirassero la fine del mese non si sa.
Un giorno, una ragazzina che aveva letto molto e che era molto curiosa capitò dalle parti della libreria. Aveva i capelli corti, gli occhi grandi e un cappottone rosso con una sciarpa a righe colorate, e portava un basco in testa. Conosceva le leggende che circolavano sulla libreria, sapeva del giochetto delle signorine ma aveva molto tempo e si era preparata. Voleva fregarle, le due vecchiarde.
La ragazzina si chiamava Michela e sapeva rispondere a qualsiasi domanda, perché aveva capito che le risposte erano nei libri. Se tu avevi letto tutte le opere di un autore, insomma, tra le righe riuscivi anche a capire cose essenziali, per esempio se preferiva il mare o la montagna, se amava i bambini, se aveva avuto un’infanzia felice, e persino se preferiva gelato al gusto di pistacchio o cioccolato. In alcuni libri non c’era scritto ma si capiva, e Michela aveva un grande intuito.
Michela arrivò davanti alla libreria.
Spinse il pesante portone, sentì uno scampanellio impercettibile, entrò.
E rimase a bocca aperta.
Pareti ricoperte da scaffali, scaffali tappezzati di libri, su su fino al soffitto, oltre
la scala a chiocciola che si perdeva nel buio della stanza. Libri di tutte le edizioni di tutti i tempi, in italiano, in latino, in tutte le lingue straniere, codici miniati, preziosi incunaboli: un mausoleo della carta stampata. Da restare senza fiato.
Nel silenzio assoluto, si udiva solo il ticche tacche dei ferri da lana delle signorine.
«Buongiorno» disse la signorina somma ruga più anziana, alzando gli occhi e smettendo di sferruzzare una lunga sciarpa.
«Buongiorno signore…. ehm signorine».
«Mi dica».
«Per caso… avete la prima edizione de Il barone rampante di Italo Calvino? Quella del 1957».
La signorina la squadrò dalla testa ai piedi e con movimenti lenti, che a Michela sembrarono preistorici, si alzò dalla poltrona.
«Certamente» rispose un po’ scocciata. «Che domanda. L’abbiamo, e non per caso. Siamo una libreria, mica una macelleria. Prima, però, dovrebbe rispondere a qualche quesito… sa, non vorremmo che il libro finisse nelle mani sbagliate.»
«Volentieri» disse Michela.
...continua...